Un altro filobus della linea 90 passa sopra la sua testa,
ferma e lei si lascia calpestare la testa, per l'ennesima volta, da uomini e
donne che salgono e scendono e si spostano, come tante pedine, per tutta la
città.
Lei, sotto il cavalcavia Bacula, approfitta del primo giorno
di sole e vento dopo le piogge primaverili per stendere sulla recinzione della
ferrovia tutti i loro poveri stracci.
Riccardo e Giona tra poco torneranno da scuola, insieme ai bambini di Lia, che
pochi metri più in là ha acceso un fornelletto da campo per preparare qualcosa
da mangiare per tutti.
Sotto il cavalcavia Bacula Lenuza, con il marito e i loro
due figli, ci sta da quasi un mese. Sono arrivati lì insieme a un paio di altre
famiglie quando l'ultimo campo in cui stavano era stato sgomberato, perché
avevano detto che il terreno era contaminato da sostanze chimiche rilasciate da
una ditta che proprio su quel terreno aveva avuto sede anni prima. Era un campo
non autorizzato, è vero, ma non avevano trovato un posto migliore. Lì almeno
c'erano altre famiglie che venivano dalla loro stessa zona della Romania.
Nel loro paesino vicino a Timishuara non c'erano
opportunità, non c'era lavoro: certo avevano una casa vera e propria, fatta in
muratura, ma nulla di cui vivere. Un rom è un rom anche in Romania: non lo
vuole nessuno. Lei e Anton, con Riccardo ancora piccolo, erano partiti per
l'Italia, come avevano già fatto alcuni fratelli di lei e di lui, decisi a
trovare un lavoro qui e un futuro migliore per il piccolo e gli altri figli che
Dio avrebbe loro mandato.
Ma se trovare un lavoro e una casa è difficile per uno
straniero, per uno zingaro è decisamente peggio.
Gli zingari rubano, non vorrai mica dargli un lavoro.
Gli zingari sono nomadi, abituati a vivere in quei campi che
sono latrine a cielo aperto, non vorrai mica affitargli una casa.
Gli zingari sono ignoranti, cosa vuoi che gli importi di
mandare i bambini a scuola.
Eccetera.
Ma a Lenuza tutto questo importa, eccome. Dopo lo sgombero
dal campo di via Bovisasca hanno cercato un posto, dove accamparsi
provvisoriamente, ma che fosse vicino alla scuola che frequentano i bimbi,
perché non perdessero altri giorni. E poi vorrebbe tanto poter abitare in una
casa vera: loro sono stanziali, ma nessuno lo vuole capire.
«Mi fa schifo
vivere così, in campi che dopo mezz'ora di pioggia diventano immense
pozzanghere, dove ho paura di quei topi grossi come gatti, dove non ci sono
nemmeno i cessi e per andare in bagno devo portare i bambini in un bar e
prendere un caffè, tutte le volte, come se i caffè me li regalassero. E sempre
che non ci sbattano fuori dal locale. Io volevo solo dare ai miei figli un
futuro migliore, e invece guarda lo schifo dove li ho portati» – si lamenta al
telefono con suor Valeria, «il suo angelo», come la chiama lei. La religiosa di
una parrocchia non lontano da lì l'ha aiutata a fare domanda per una casa
popolare, anche se l'ha avvisata che non ci sono molte speranze, e aiuta i
bambini con i compiti.
L'unica nota positiva è che Anton è riuscito a trovare un
lavoro come muratore e non ha mai perso il posto, neanche quando sono stati
costretti a “traslocare” da un campo a un altro, da un ponte all'altro,
inseguiti dalle ruspe e dalla polizia.
Anche lei vorrebbe tanto lavorare,
magari facendo la domestica. L'ha già fatto, aveva trovato un buon posto presso
una famiglia di milanesi, da cui andava a fare le pulizie due volte la
settimana, e a cui ovviamente aveva taciuto il fatto che fosse rom e abitasse
in un campo. Lo fanno tutte, altrimenti, altrettanto ovviamente, nessuno si
sognerebbe di assumerti. Con «la Signora» si trovava bene, entrambe erano
contente: Lena del posto e la Signora della dipendente.
Ma poi il pregiudizio
aveva vinto: Lenuza era comparsa in un servizio al Tg che parlava dell'ennesimo
sgombero e i Signori l'avevano vista. Due anni di buon lavoro non erano serviti
a scongiurare il licenziamento: «Mi dispiace Lenuza, sei una brava persona, ma
dei rom non ci si può fidare». Da allora solo qualche ora di pulizia qua e là:
gli uffici della parrocchia, la casa delle consorelle di suor Valeria.
«Lena, ho una buona notizia – le dice la suora dall'altra
parte del cellulare. – Ti ho trovato un colloquio di lavoro con una cooperativa
che fa pulizie. Hai l'appuntamento domani mattina, va bene? ».
Certo che sì.
Vuoi vedere che il sole porta qualcosa di buono...
Nessun commento:
Posta un commento