giovedì 9 gennaio 2014

Fermata: piazza Durante | Il droghiere di quartiere

Con il grembiule addosso lì, dietro al bancone, gli sembra di essere un po' il vecchio droghiere di quartiere. Quello da cui si andava sì a fare la spesa, ma che ti conosceva, e conosceva un po' tutti, da cui era garanzia fare anche due chiacchiere.
Lo fa sorridere, questo nuovo ruolo, ma in fondo gli piace, e ne va anche un po' orgoglioso.
Dario, in realtà, sta tutti i giorni per mezza giornata dietro al banco del Social market di via Leoncavallo, un piccolissimo locale che da pochi mesi ha alzato la saracinesca nel caos del traffico e delle mille lingue del quartiere di via Padova, una sorta di mini-market dove le famiglie in difficoltà economica, segnalate dai servizi sociali, possono fare la spesa a prezzi calmierati.
Dario lavora qui con una borsa lavoro finanziata dal comune di Milano. Prima, anni fa, faceva tutt'altro: era sistemista informatico, una vita considerata normale, tra casa e lavoro.
Poi la crisi. La crisi del settore, certo. Ma anche la sua crisi personale, qualcosa si è rotto ed è andato in pezzi, ribaltando la sua vita. Lui è uno a cui piace chiacchierare, ma su quegli anni sorvola. Dice e non dice, lascia dei sottintesi.
Parla piuttosto delle famiglie che vengono qui, in gran parte straniere. Ci sono anche molti anziani, italiani, ed è soprattutto per loro che si sente “il droghiere amico”: «Si parla e ci si conosce, soprattutto nel caso degli anziani o delle persone sole, che trovano l'occasione per fare due chiacchiere».
Il fatto che dall'altra parte del bancone ci sia proprio lui, secondo Dario non è indifferente. La sua storia personale, dice, gli dà una sensibilità in più per capire i problemi di chi non ce la fa ed è costretto a chiedere una mano: «La gente lo sente, che li capisco, e che quei problemi li conosco non perché li ho studiati sui libri, ma perché li ho vissuti sulla mia pelle».
Ha vissuto per un periodo da senza dimora, ha trovato riparo al dormitorio pubblico, poi pian piano, grazie al sostegno sociale, si è rialzato: ha cominciato a collaborare come volontario con le associazioni che lo avevano aiutato, ha trovato una borsa lavoro, poi un'altra, e questa è la terza.
«Lo strumento della borsa lavoro, per certi versi, è fenomenale: ti consente di ricominciare a lavorare in un mondo che oggi non avrebbe più spazio per uno come me. Ma è anche una palude: passi da una borsa all'altra, e non riesci mai a trovare un lavoro vero, solo questo ibrido di occupazione». Ma questo c'è, oggi, ed è meglio che niente.
Oggi c'è anche una casa nella provincia milanese. E c'è anche una compagna al suo fianco, con una bambina. C'è una famiglia: ed è molto più che niente.

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