giovedì 2 gennaio 2014

Fermata: Trasimeno | Un hippy in tv

L'altra sera ha avuto qualche secondo di celebrità. Mezza Lombardia l'ha visto al Tg regionale, e di lui ha saputo che si chiama Roberto, ha 49 anni, è italiano, è cattolico, ed è stato il primo ospite della Casa della Carità. 
E basta.
Ma Roberto ha molto di più da raccontare, di quello che ha detto alla tivù.

Nella sua vita – così si racconta – ha fatto l'hippy, il senza dimora, il venditore ambulante. Abusivo, ovviamente. Ha vissuto dalle suore, e poi anche in carcere.
A sedici anni è stato cacciato di casa, racconta, e fu mandato in un istituto di religiose. Ma lì proprio non ci voleva stare, piuttosto avrebbe preferito dormire in strada. Scappò e a diciotto anni si imbarco su un traghetto per la Sardegna.
«Finii nella Valle della Luna, chi si ricorda la Valle della Luna? Era un posto di hippy, ce ne sono ancora che vivono lì. Ho vissuto con loro, c'erano tanti ragazzi, dai sedici ai trent'anni. Mangiavamo e cantavamo insieme, improvvisavamo spettacoli per la strada, facevamo l'elemosina. Io avevo i capelli lunghi con le treccine, ero un vagabondo, ero un mago».
Dormiva in un Diana con le tendine ai finestrini e l'adesivo di un vagabondo sulla carrozzeria, viveva di piccoli furti e di elemosina. Quella storia finì con sei mesi di carcere e il ritorno in Lombardia.

Milano volle dire avere come letto il parco Sempione, anche d'inverno col freddo e la brina, e le panchine di piazza San Sepolcro, a volte un riparo di cartone nei mezzanini della metropolitana in Duomo. «Ma il cartone durava poco, lo rubavano, era come l'oro, il cartone».
Per tre mesi andò anche al dormitorio di viale Ortles, ma poi scappò, non gli piaceva. C'era sempre qualcuno che aveva bevuto troppo ubriaco, «non sopporto vedere qualcuno ubriaco, mi ricorda mio padre, e me ne voglio andare».
In quegli anni viveva ancora di elemosina, di piccolo spaccio, di furti. Non va sempre liscia, e lo beccarono per la seconda volta. Questa volta fu più pesante, otto anni al San Vittore. Dove il suo compagno di cella gli insegnò un passatempo che ancora oggi è un hobby. «Lui lavorava l'alluminio. Lo scaldava e lo piegava come voleva. Da lui ho imparato a fare dei piccoli oggetti, come delle biciclette, delle stelline, a formare dei nomi. Dopo, quando sono uscito, ogni tanto mi mettevo al parco a fare e vendere queste cosine. Tre, quattromila lire l'uno: erano i ragazzini e le coppiette di fidanzati spesso a comprarmele. Ma poi arrivavano i vigili e dovevi tirar su tutto in fretta e andartene».
Quando gli assistenti sociali della Caritas lo agganciarono, in realtà, fu come una liberazione. Gli anni stavano scorrendo, e Roberto si rendeva conto che così non voleva invecchiare. Non da solo, sulla strada. Accettò il loro aiuto e diede una svolta alla sua vita.
Fu da lì che iniziò a lavorare per varie cooperative sociali, prima qualche ora, distribuendo i pasti agli anziani, e poi chiese di poter fare di più, e passò a fare pulizie in un condominio, «lavare le scale, portare via la spazzatura, cose così».

La sua casa, ormai da diversi anni, è la Casa della Carità. È anche la sua famiglia.
Perché qui, dove è stato tra i primissimi ad essere accolto, ha fatto la sua parte per accogliere gli altri. «Io che ho vissuto così capisco bene chi arriva qui e si sente solo, arrabbiato, frustrato, perché ha perso la casa o sono stati cacciati dalle loro baracche».
Perché qui, come ha detto alla tivù, si sta insieme e ci si aiuta a vicenda.

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