martedì 9 aprile 2013

Fermata: Viale Molise


Un uomo sui sessanta scende dal filobus della circolare 90 a metà di viale Molise, si incammina barcollando e scuotendo la testa verso piazzale Cuoco, ma dopo un centinaio di metri si gira e torna indietro. Lo fa per altre dieci volte, prima di decidersi a proseguire verso il suo malconcio appartamento nel caseggiato di via Etruschi.
Se la scena può apparire strana in qualunque altro posto, non lo è qui, quartiere Molise-Calvairate, una sorta di periferia disagiata a dieci minuti di tram da piazza Duomo. Questa, con i suoi tremila alloggi Aler compresi tra piazza Martini e piazzale Cuoco, è la zona di Milano con la più alta concentrazione di persone con disagio psichico.
Sette sofferenti psichici, in media, in ogni caseggiato popolare.
Centocinquantacinque, in totale, le persone affette da disturbi mentali.
Non quantificabili coloro che hanno problemi mentali e gravitano in zona, compresi molti clochard, che sono fuori dal circuito di aiuto.
Ecco a voi, signore e signori, il “quartiere del matti”, quartiere con il più alto tasso di malati psichici in tutta Europa.

La zona, costruita all’inizio del Novecento per ospitare le famiglie dei tramvieri dell’Azienda trasporti milanese, nei primi anni Ottanta si è popolato di persone con disagio psichiatrico, senza tetto e anche coloro che un tetto lo hanno, ma vivono in condizioni psicofisiche precarie.
Gennaro per molti anni ha vissuto in una baracca dalle condizioni igieniche e sanitarie pessime. Spesso lo si vedeva in giro, nel quartiere, mentre vagava senza meta. Poi improvvisamente è sparito dalla circolazione. Nessuno sapeva come fare a rintracciarlo, molti erano preoccupati per lui. Lo hanno trovato dopo molti giorni nella sua baracca, quasi morto. Aveva una gravissima polmonite, non era stato in grado di chiedere aiuto a qualcuno. Lo ricoverarono e lo sottoposero a un Tso. Dopo mesi di degenza in ospedale, per la prima volta nella sua vita accettò di farsi seguire in un centro d’accoglienza. Ora sta bene, è seguito dai servizi sociali e da un'associazione di volontariato del territorio, e ha capito che tutte le cure, a cominciare dal Tso, che prima rifiutava, gli sono state utili.
Sono molte però le persone affette da disturbi psichici, come Gennaro, che non accettano alcun tipo di cura. Per intervenire sui malati che rifiutano qualsiasi tipo di aiuto, i servizi sociali e sanitari possono fare ricorso ai Tso, il “trattamento sanitario obbligatorio”, strumento di cura imposto al malato, spesso contro la sua volontà, quando appare evidente che il paziente possa recare gravi danni a se stesso o agli altri.
«Quando i miei fratelli hanno attivato il Tso – racconta Claudio, ex senza dimora affetto da disagio psichiatrico grave – non mi rendevo conto di cosa mi stessero facendo. Ricordo solo una grandissima rabbia, e l’impulso a ribellarmi». In seguito, dopo mesi di sofferenze, Claudio è riuscito a iniziare un percorso di cura. E soprattutto a entrare in un centro di accoglienza. E oggi ha ripreso una vita quasi normale.
Ma le storie, da queste parti, spesso non finiscono bene. Anche Giuliano viveva in una casa Aler di via degli Etruschi. È stato trovato un giorno di settembre, morto da tempo, solo, nel suo appartamento. La scena che si è presentata a chi ha – finalmente – aperto la porta era desolante: sporcizia, rifiuti ovunque, Giuliano abbandonato a se stesso. Nessuno era stato in grado di aiutarlo nella vita quotidiana perché lui, a un certo punto, si era rifiutato di aprire la porta di casa. Franca, presidente del Comitato inquilini Molise-Calvairate-Ponti, ricorda che in quell'ultima estate lui aveva chiesto aiuto per l'ultima volta: «Sto male, sto male e non mi curano. In casa il lavandino si è staccato e sta per cadere. Mi piove sul water. Lo sciacquone non va. Mi hanno staccato il gas perché non posso pagare le bollette e ora ho paura che mi vengano a togliere anche la luce». Franca si era attivata per aiutarlo e aveva contattato il Centro psico-sociale della zona. Ma il lavoro anche per loro è tanto e risorse e personale scarsi, e la risposta era stata secca: fino a settembre non si sarebbe potuti intervenire. Ma quel giorno, fissato per la visita domiciliare, Giuliano era già morto da tempo.

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