giovedì 12 maggio 2016

Fermata: Padova-don Orione | I bastioni di via Celentano

Da via Padova li vedi come una lunga macchia verde scuro, che da decenni non vede una rinfrescata.

Sono i due caseggiati Aler di via Celentano, civici 1 e 2, che come due bastioni segnano l’ingresso alla strada. Due casermoni gemelli, con i portoni che si aprono uno di fronte all’altro, e i cortili speculari: in fondo all’uno e all’altro, curate e venerate, due piccole edicole dedicate alla Madonna.

Quando entrò la prima volta qui, nel 2009, Margherita Cavallo faceva da poco parte della rete di associazioni che per alcuni anni ha animato la festa “Via Padova è meglio di Milano”.

«Tutto è cominciato con un citofono. Mi sono affacciata a questo cortile, l’1, ho cercato i campanelli e ne ho suonato uno a caso – racconta oggi Margherita. - Mi rispose una signora. Le spiegai il nostro progetto della festa di quartiere, che volevamo lavorare anche con loro e lei fu molto gentile. Dopo quello ne suonai molti altri».

Sei anni dopo Margherita conosce quasi tutti, e quasi tutti conoscono lei. 
Quasi, appunto: tutti è impossibile, in un luogo dove ci sono oltre 200 alloggi e circa il 40% degli occupanti è di origine straniera. 
E dove, come spesso accade nei casermoni popolari, ci sono ricambi non proprio regolari, occupazioni di abusivi, gente che va e viene.

Però lei ha una chiacchiera per tutti quelli che passano, e intanto indica le finestre sopra la sua testa spiegando che «lì abita un signore anziano attivissimo: legge, va in biblioteca, segue tutte le vicende anarchiche», mentre saluta con la mano un’altra donna affacciata a un balcone «Calabrese. Vive qui da tanti anni ma non parla italiano, quasi non si capisce quello che dice».
O ancora, racconta della signora Virginia, quasi 90 anni, che quando si sposò venne ad abitare qui accanto, «dove oggi c’è una scuola e allora c’era la Cascina Ferrera, Poi nel ’32, quando costruirono queste case, si trasferì qui. Abitavano in otto in 25 metri quadri. Ed è stata tra le più attive ad aiutarci a ricostruire questa comunità».

Legami che una volta c’erano: «i primi inquilini – spiega Margherita, che ha ascoltato storie e raccolto documentazioni sulle case di via Celentano – si conoscevano e sostenevano, vivevano il cortile, condividevano i pranzi. Una solidarietà che ha tenuto a lungo nonostante immigrazioni prima dal Veneto, poi dal meridione. I primi stranieri dal nord Africa sono arrivati negli anni ‘70». Ad affievolire i rapporti è stato soprattutto il ricambio: i vecchi che morivano e i nuovi che si facevano i fatti propri. E poi la povertà, il degrado, anche la microcriminalità hanno fatto il resto.

La prima festa in cortile l’hanno fatta nel 2011: piatti condivisi, spettacoli teatrali e musica. È stato un inizio di conoscenza e collaborazione, anche grazie al lavoro dei custodi sociali della Casa della Carità. Da allora, anno dopo anno, le occasioni di festa si sono moltiplicate: dalla Befana ai pranzi estivi le persone hanno ricominciato a riappropriarsi della loro casa.

«A partire dai due cortili, che assomigliavano a una discarica – racconta Ahmed Mansour, egiziano, da 24 anni in Italia e da sei inquilino di un appartamento al primo piano del civico 1. - Ora li abbiamo ripuliti, vorremmo anche mettere delle panchine. Ma non abbiamo libera iniziativa: per fare qualunque cosa dobbiamo avere il permesso dell’Aler. Anche per questo abbiamo deciso di costituire formalmente un Comitato inquilini».
Le votazioni sono state fatte lo scorso anno, durante la festa di giugno, e sono stati eletti un portavoce per ogni scala e cinque rappresentanti per il Comitato. Ahmed è uno di loro.

Ahmed e Margherita
«Noi ci poniamo come intermediari tra gli inquilini che spesso da soli non sanno come muoversi e le istituzioni, Comune e Aler. Siamo di aiuto per pratiche e comunicazioni. Qui c’è una grossa urgenza di risanare gli alloggi, e c’è gente che fatica a tirare la settimana».

Grazie alla presenza del Comitato, Aler ha concesso l’uso di un locale al pian terreno come spazio comune: parte della ristrutturazione la sta portando avanti la Casa della carità, mentre gli inquilini si sono impegnati a rimettere in ordine l’impianto elettrico e risolvere alcuni problemi tecnici per avere l’abitabilità. «Abbiamo raccolto i fondi necessari attraverso delle vendite in mercatini e iniziative popolari simili – racconta Ahmed – e ora manca poco all’inaugurazione».

A Pasqua hanno aperto il locale per mostrare in anteprima i lavori fatti e condividere una fetta di colomba. Una sorta di assaggio di quel che il locale diventerà: uno sportello per ascoltare i bisogni dei cittadini, ma anche luogo dove ospitare incontri culturali, chiacchiere e partite di carte, laboratori dove chi vuole metterà a disposizione le proprie abilità «dal cucito all’orto».

Per non dover aspettare solo l’estate, ma fare comunità ogni giorno.


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Scarp de' tenis num. 201

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