"Sono ragazzi", era la battuta in tv di una bionda dal sorriso smagliante.
Nulla di più vero oggi: sono solo ragazzi. Ma non c'è niente da ridere.
Perché sono partiti dal loro Paese soli, lasciando la famiglia alle spalle, in cerca di una promessa di "futuro migliore" che probabilmente non vedranno mai.
In cerca di un lavoro per sostenere la famiglia a casa. In cerca un Paese che offra più possibilità. In cerca di un aggancio per farsi poi raggiungere, chissà, un giorno.
E insomma, sono ragazzi quasi adulti, che hanno imparato in fretta a guardare in faccia alla vita e alla morte.
Ma dall'altra sono adolescenti, proprio con le stesse paure di crescere, e gli stessi atteggiamenti un po' bambini che hanno tutti gli adolescenti del mondo.
Questi “minori stranieri non accompagnati” in Italia, oggi, ne risultano attualmente censiti e accolti quasi 16mila. Oltre a loro, altri 6mila sono arrivati nel nostro Paese e, dopo essere stati identificati, hanno fatto perdere le loro tracce: scappati subito dalla prima accoglienza o più tardi dalle comunità a cui erano stati affidati, ripartiti verso altri Paesi europei o bloccati alle frontiere e rimasti incastrati qui, a fare la spola tra accoglienze di emergenza e reti di conoscenti.
Nulla di più vero oggi: sono solo ragazzi. Ma non c'è niente da ridere.
Perché sono partiti dal loro Paese soli, lasciando la famiglia alle spalle, in cerca di una promessa di "futuro migliore" che probabilmente non vedranno mai.
In cerca di un lavoro per sostenere la famiglia a casa. In cerca un Paese che offra più possibilità. In cerca di un aggancio per farsi poi raggiungere, chissà, un giorno.
E insomma, sono ragazzi quasi adulti, che hanno imparato in fretta a guardare in faccia alla vita e alla morte.
Ma dall'altra sono adolescenti, proprio con le stesse paure di crescere, e gli stessi atteggiamenti un po' bambini che hanno tutti gli adolescenti del mondo.
Questi “minori stranieri non accompagnati” in Italia, oggi, ne risultano attualmente censiti e accolti quasi 16mila. Oltre a loro, altri 6mila sono arrivati nel nostro Paese e, dopo essere stati identificati, hanno fatto perdere le loro tracce: scappati subito dalla prima accoglienza o più tardi dalle comunità a cui erano stati affidati, ripartiti verso altri Paesi europei o bloccati alle frontiere e rimasti incastrati qui, a fare la spola tra accoglienze di emergenza e reti di conoscenti.
La Lombardia – secondo i dati di
ottobre 2016 – ne accoglie 974, di cui 873 nella sola Milano.
«Il capoluogo lombardo resta la città
più attrattiva a livello nazionale, e questo vale anche per i
minorenni migranti. Milano sta facendo molto, ma comunque non è
sufficiente, considerato il carico che deve sopportare rispetto al
resto della regione», spiega Matteo Zappa, responsabile dell'area
minori di Caritas Ambrosiana.
La maggior parte dei ragazzi presi in
carico attraverso il Pronto intervento minori, il servizio dedicato
del comune, è accolto in strutture specifiche per minorenni: nelle
classiche comunità educative per minori, o in altre strutture un po'
più grandi (ma comunque sotto i venti posti ciascuna), aperte
appositamente dal comune in sinergia con alcune realtà del privato
sociale, e attrezzate con professionalità formate per questa
esigenza.
Sono le comunità del progetto
Emergenze sostenibili, che nei tre anni di realizzazione ha accolto
circa 500 ragazzi 16-17enni e ha avuto una parte dedicata
all'accompagnamento all'autonomia dei neo maggiorenni fino ai 21
anni. Il progetto si è formalmente chiuso la scorsa primavera, ma
nei fatti le comunità continuano a lavorare e accogliere.
Ma i posti non sono comunque
sufficienti e sono decine i ragazzini che restano per strada. Oppure
accolti in strutture per adulti.
Per rispondere all'emergenza posti, si
è tentata la strada dei centri Sprar per minori.
Al momento a Milano ne esiste uno da 30 posti, ma il secondo bando indetto dal comune per aprirne un altro è andato a vuoto: «Noi pensiamo che questo modello, efficace per gli adulti, non sia adatto invece per i ragazzini, che hanno bisogno di una forte presenza educativa – commenta Matteo Zappa. – È un'età, l'adolescenza, che va accompagnata bene, soprattutto perché in molti di loro emergono disturbi psicologici. Se si cura bene questo periodo, invece, è più probabile una buona integrazione culturale, lavorativa, sociale dopo i vent'anni, in età adulta».
Al momento a Milano ne esiste uno da 30 posti, ma il secondo bando indetto dal comune per aprirne un altro è andato a vuoto: «Noi pensiamo che questo modello, efficace per gli adulti, non sia adatto invece per i ragazzini, che hanno bisogno di una forte presenza educativa – commenta Matteo Zappa. – È un'età, l'adolescenza, che va accompagnata bene, soprattutto perché in molti di loro emergono disturbi psicologici. Se si cura bene questo periodo, invece, è più probabile una buona integrazione culturale, lavorativa, sociale dopo i vent'anni, in età adulta».
Per assicurare il tipo di accoglienza
adeguata, bisogna ribaltare la prospettiva con cui si guarda a queste
persone: «Bisogna considerare che sono minorenni prima di tutto, con
delle esigenze specifiche perché migranti, e non considerarli
stranieri con esigenze specifiche perché minori – è lo sguardo di
Zappa – Per questo diciamo che il modello di accoglienza idoneo per
questi ragazzi è la comunità educativa, e non lo Sprar».
In via Statuto, al Pronto intervento minori del comune di Milano, bussano 60 ragazzini stranieri ogni giorno.
Il Pronto intervento è un servizio attivo dagli anni Novanta esplicitamente in supporto delle situazioni di emergenza per i minori, che provengono da famiglie in situazioni di fragilità sociale o, appunto, che arrivano soli da altri Paesi. Un fenomeno, quest'ultimo, in rapida crescita, se i minori seguiti e accolti sono triplicati nel giro di cinque anni.
La maggior parte di loro arriva inviata dalla Questura, dopo che l'ufficio minori della polizia li ha registrati e fotosegnalati. Qualcuno arriva già a Milano con l'indirizzo in mano, che gli avevano dato alla partenza, nel Paese di origine.
Ci sono anche quelli che proprio non vengono intercettati: «Oggi nella nostra città arrivano minori con l'intenzione di restare e integrarsi, – spiega Massimo Gottardi, responsabile del Pronto Intervento – altri che vengono solo per ottenere un permesso di soggiorno regolare, infine quelli che sono solo in transito verso altre nazioni europee. Questi ultimi non vengono da noi, stazionano temporaneamente all'Hub Sammartini e ripartono».
In via Statuto, al Pronto intervento minori del comune di Milano, bussano 60 ragazzini stranieri ogni giorno.
Il Pronto intervento è un servizio attivo dagli anni Novanta esplicitamente in supporto delle situazioni di emergenza per i minori, che provengono da famiglie in situazioni di fragilità sociale o, appunto, che arrivano soli da altri Paesi. Un fenomeno, quest'ultimo, in rapida crescita, se i minori seguiti e accolti sono triplicati nel giro di cinque anni.
La maggior parte di loro arriva inviata dalla Questura, dopo che l'ufficio minori della polizia li ha registrati e fotosegnalati. Qualcuno arriva già a Milano con l'indirizzo in mano, che gli avevano dato alla partenza, nel Paese di origine.
Ci sono anche quelli che proprio non vengono intercettati: «Oggi nella nostra città arrivano minori con l'intenzione di restare e integrarsi, – spiega Massimo Gottardi, responsabile del Pronto Intervento – altri che vengono solo per ottenere un permesso di soggiorno regolare, infine quelli che sono solo in transito verso altre nazioni europee. Questi ultimi non vengono da noi, stazionano temporaneamente all'Hub Sammartini e ripartono».
Oggi la maggior parte dei ragazzini
accolti a Milano è nordafricana, soprattutto egiziana.
«Di solito sono
primogeniti, motivati a crearsi un futuro, con un progetto familiare
ben condiviso tra i genitori e il ragazzo, che è partito con
l'intento di formarsi, trovare un lavoro e poter così sostenersi e
contribuire al mantenimento della famiglia – è quanto può
osservare Gottardi. – Ma negli ultimi due anni la tendenza è
cambiata: assistiamo alla migrazione, spesso obbligata, di minori
molto fragili, sia dal punto di vista sanitario che psicologico, più
giovani, anche dodicenni, analfabeti, spesso coinvolti in percorsi di
devianza già nel paese di origine».
(Una parte di questo racconto è stato pubblicato sul numero di febbraio 2017 di Scarp de' tenis)
Nessun commento:
Posta un commento