martedì 14 giugno 2016

Sono giovane, in salute, ho molti progetti per il futuro. E oggi ho fatto testamento


«Ho 36 anni, sono in perfetta salute e ho molti progetti in mente per il futuro. È ora di fare testamento.

Non parlo di decidere a chi lasciare i miei beni, ma di un testamento diverso: il cosiddetto testamento biologico, in termini tecnici le “dichiarazioni anticipate di fine vita”.

Ho preparato un documento in cui dò indicazioni su quello che desidero venga fatto, o non fatto, se per qualche motivo (un incidente, una malattia) non dovessi più essere in grado di esprimere il mio consenso sui trattamenti da mettere in atto per intervenire sulla mia salute e sulla mia vita: voglio esprimere, finché ne ho la possibilità, il desiderio di essere lasciata andare quando sarà il momento, di non essere sottoposta a trattamenti che prolunghino una vita che è arrivata al punto di spegnersi.
Desidero che ci si limiti ad accompagnarmi e a evitarmi dolore inutile.

Sono fortunata, perché vivo in un Comune che ha aperto un registro delle attestazioni delle dichiarazioni anticipate di fine vita, quindi posso depositare ufficialmente presso un’istituzione il mio testamento.

Sono sfortunata, perché vivo in uno Stato che, nonostante si consideri evoluto, ancora non ha espresso una legge che regoli queste scelte e la mia vita potrebbe finire nelle mani di qualcuno che le ignorerà e non rispetterà il mio desiderio di autodeterminazione, senza doverne rispondere.

La fine della vita è qualcosa di complesso e misterioso, nessuno sa quando e perché arriverà; io non so se queste mie dichiarazioni saranno mai necessarie, ma voglio esercitare il mio diritto a esprimerle e chiedere che vengano rispettate.

Lo chiedo nel nome della nostra Costituzione, che afferma che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana e che la libertà personale è inviolabile.

Lo chiedo perché voglio affrontare la morte con dignità, accettando che è arrivato il mio momento e senza prolungare un passaggio inevitabile.

Lo chiedo perché credo fermamente che gli interventi di cura non debbano avere come scopo il prolungamento della vita, ma il miglioramento della sua qualità, per quanto è possibile.

Lo chiedo perché ho sperimentato sulla mia pelle cosa significa vedere una persona che si ama spegnersi giorno per giorno, sentendosi impotenti e chiedendosi se non si sarebbe potuto fare qualcosa di diverso, se tutto quel calvario fosse davvero necessario: voglio risparmiare tutto questo alla mia famiglia o a chi sarà al mio fianco.

Non ho risposte universali, so che davanti al mistero della vita e della morte non ci sono decisioni facili.

Non voglio trovare una soluzione per tutti, chiedo che venga rispettata la mia scelta per me stessa».


Questo scritto non è mio. 
Lo ha scritto una giovane donna che oggi ha depositato al Comune di Milano il suo "testamento biologico".
Una donna che stimo molto, a cui voglio bene, una cara amica.
Una donna che ha riflettuto su questo tema, anche per la sua esperienza di vita, e che mi ha chiesto di pubblicare questo testo perché possa essere occasione di pensiero anche per altri.
Che ha chiesto di restare anonima non per privacy o cose simili, ma perché anche altri possano immedesimarsi, leggendoci ognuno la propria - diversa e originale - storia.

E io, per tutti questi motivi, lo pubblico volentieri.

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